Non-Performing Exposures delle banche: diktat impazienti e soluzioni nazionali vs gestione paziente e Asset Management Companies a livello europeo
In Europa e in Italia sono stati registrati significativi progressi dalle banche in materia di Non Performing Exposures (NPE: past due, unlikely to pay – UTP e non performing loans – NPL). Nell’Euroarea gli NPL hanno toccato il picco nel 2013 (in Italia nel 2015, Sala 2019), con unexpected losses m...
Main Author: | |
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Format: | Article |
Language: | English |
Published: |
AIFIRM
2020-04-01
|
Series: | Risk Management Magazine |
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author | Rainer Masera |
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description | In Europa e in Italia sono stati registrati significativi progressi dalle banche in materia di Non Performing Exposures (NPE: past due, unlikely to pay – UTP e non performing loans – NPL).
Nell’Euroarea gli NPL hanno toccato il picco nel 2013 (in Italia nel 2015, Sala 2019), con unexpected losses molto alte, ma sono in graduale discesa. Permangono elevati in alcuni paesi (Grecia, Cipro, Portogallo e Irlanda, CE 2019).
In Italia sono stati ottenuti risultati molto significativi, con riferimento sia agli aggregati lordi, sia a quelli netti (Angelini 2018, Sala 2019). È necessario proseguire lungo le direttrici di riduzione. Gli NPL consumano capitale, aumentano i costi correnti e riducono la profittabilità delle banche. Il rischio di una recessione e di un nuovo dilatarsi degli NPL non è trascurabile.
Scopo di questo mio intervento non è peraltro quello di cercare di offrire un quadro di insieme e di soffermarsi sui risultati, ma di porre in discussione taluni elementi della “saggezza convenzionale” che ha guidato i processi nell’EU. Farò riferimento a un duplice ordine di considerazioni: il confronto con l’esperienza degli Stati Uniti dopo la grande crisi finanziaria (GCF) del 2007-2009; il richiamo all’esperienza italiana della Società di gestione degli attivi (SGA) del Banco Napoli.
La BCE ha sostenuto che la riduzione significativa delle NPE in tutti i paesi dell’Euroarea è condizione necessaria per consentire il completamento della Unione Bancaria e la creazione di meccanismi comuni di garanzia/assicurazione dei depositi e di riforma delle procedure di risoluzione, oggi palesemente inadeguate, come mostrato dallo stesso Governatore della Banca d’Italia.
Comunque non è accettabile la tesi che il livello degli NPL in Italia sia un problema per la stabilità finanziaria europea, come ben ha spiegato Angelini (2018).
È anche ragionevole sostenere che al double-dip del 2012-13 abbiano contribuito: la strategia di smobilizzo “impaziente” degli NPL, le perdite “forzate” sui prestiti, la stringenza del vincolo patrimoniale. Tutto ciò ha originato minor credito e sospinto la spirale viziosa/deflattiva. L’enfasi microprudenziale non è stata contemperata da un’adeguata analisi macroprudenziale e dalla preoccupazione per un nuovo “tipping point”. |
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