Ciò che non siamo: una conversazione sulle riviste scientifiche

L’articolo di Marcello Vitali-Rosati "Qu’est-ce qu’une revue scientifique? Et…qu’est-ce qu’elle devrait être?"", in un ambiente più libero di quello italiano e forse anche con interlocutori migliori, si interroga sulla necessità e sulla funzione delle riviste scientifiche nell’ambient...

Full description

Bibliographic Details
Main Author: Maria Chiara Pievatolo
Format: Article
Language:English
Published: Università di Pisa 2017-06-01
Series:Bollettino Telematico di Filosofia Politica
Subjects:
Online Access:https://btfp.sp.unipi.it/it/2017/06/ri-viste/
Description
Summary:L’articolo di Marcello Vitali-Rosati "Qu’est-ce qu’une revue scientifique? Et…qu’est-ce qu’elle devrait être?"", in un ambiente più libero di quello italiano e forse anche con interlocutori migliori, si interroga sulla necessità e sulla funzione delle riviste scientifiche nell’ambiente digitale. Secondo un modello che soltanto eufemisticamente possiamo chiamare ingenuo i ricercatori prima ricercano, poi scrivono e, concluso il loro lavoro, passano il cosiddetto prodotto della ricerca alle riviste, le quali hanno, in primo luogo, il compito di valutarlo scientificamente e di dargli una forma degna e, in secondo luogo, quello di diffonderlo. Così, finalmente, si ottengono delle “pubblicazioni”. I ricercatori, è noto, se non pubblicano muoiono. Chiunque, però, abbia una familiarità anche remota con la cosiddetta pubblicazione scientifica sa che: le riviste non si occupano affatto della valutazione e raramente dell’editing – lavori, questi, svolti graziosamente e gratuitamente da redattori e revisori di solito stipendiati, se lo sono, dalle università e non dagli editori; le riviste tradizionali non sono vocate a diffondere i testi, ma a prenderli in ostaggio, limitandone la circolazione: quanto nel mondo della stampa era un passaggio tecnologicamente ed economicamente obbligato ora è divenuto un ostacolo che non viene scavalcato solo grazie al feticismo della collocazione editoriale. Come mai questo modello economico aberrante, nel quale chi lavora paga il datore di lavoro per l’onore di esserne sfruttato e trattenuto lontano dal pubblico, continua a sopravvivere? Se gli accademici fossero battitori liberi, smettere di mandare articoli alle riviste o – ancor meglio, smettere di scrivere articoli per comporre piuttosto ipertesti sezionabili, commentabili e linkabili – non apparirebbe eroicamente anticonformista, ma semplicemente razionale.
ISSN:1591-4305