"Scrivere la storia significa incasinare la geografia": mappe postcoloniali
Dopo aver precisato il ruolo delle mappe nel quadro dei progetti espansionistici dell'Europa e i diversi usi di questo topos nella letteratura (post)coloniale, il contributo si focalizza su due opere emblematiche, che condividono la stessa ipotesi di fondo, ovverosia l'idea che la storia i...
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Format: | Article |
Language: | Catalan |
Published: |
Masaryk University
2016-11-01
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Series: | Études romanes de Brno |
Subjects: | |
Online Access: | https://journals.phil.muni.cz/erb/article/view/26337 |
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author | Chiara Mengozzi |
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description | Dopo aver precisato il ruolo delle mappe nel quadro dei progetti espansionistici dell'Europa e i diversi usi di questo topos nella letteratura (post)coloniale, il contributo si focalizza su due opere emblematiche, che condividono la stessa ipotesi di fondo, ovverosia l'idea che la storia individuale e collettiva siano strettamente correlate alla cartografia del territorio urbano e nazionale: La mia casa è dove sono di Igiaba Scego e Maps di Nuruddin Farah. Si dimostrerà che, mentre il romanzo di Scego giunge a una proposta identitaria conciliatoria basata sulla fiducia nella narrazione come strumento "per rendere conto di sé" e su una disinvolta equivalenza tra l'"io" e il "noi"; quello di Farah, concependo il rapporto tra l'individuale/familiare e il collettivo/nazionale secondo le modalità dell'allegoria e facendo del protagonista un narratore inaffidabile, approda a una convincente critica della narrazione come privilegio delle elite metropolitane, e delinea una nuova geografia di rapporti interpersonali e internazionali dove le frontiere risultano completamente denaturalizzate. |
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publishDate | 2016-11-01 |
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