La scatola sacra

Far parlare il sacro è sempre un compito particolarmente difficile. Le cattedrali, costruite con le pietre dei secoli, risiedono immutabili – anche quando non ancora finite – nei luoghi più intimi ed esposti delle città; sono il simbolo della nostra cultura, il segno di uno spazio oggettiv...

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Bibliographic Details
Main Author: Elisa Poli
Format: Article
Language:English
Published: DNA Editrice 2009-12-01
Series:And
Online Access:https://and-architettura.it/index.php/and/article/view/516
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author Elisa Poli
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description Far parlare il sacro è sempre un compito particolarmente difficile. Le cattedrali, costruite con le pietre dei secoli, risiedono immutabili – anche quando non ancora finite – nei luoghi più intimi ed esposti delle città; sono il simbolo della nostra cultura, il segno di uno spazio oggettivo, uno dei pochi forse che oggi ci rimane. Le chiese storicamente erano la casa dei fedeli – quando la religione rappresentava un aspetto condiviso e condivisibile della società – uno spazio simbolico e al contempo vivibile, vissuto, consumato dal fumo delle candele e dal passaggio dei piedi degli uomini. Non è cambiato di molto questo atteggiamento anche quando ai luoghi sacri se ne sono aggiunti altri, fortemente evocativi del bisogno che il pubblico dimostra nei confronti della propria sintassi minima, come i musei, gli stadi, le stazioni e gli aeroporti. Ma le chiese sono rimaste. Anche nel Novecento, quando la fabbrica ha rappresentato il nuovo culto delle città, anche quando Michelucci ha progettato il suo capolavoro non più all’interno di una piazza ma nel movimento futurista dell’autostrada, anche allora il sacro ha mantenuto la sua forza, forse l’ha accresciuta. Il primo ostacolo al concepimento dello spazio sacro risiede proprio in una dialettica insolubile: accogliere da una parte le numerosissime voci dei fedeli che l’abiteranno e trasformarle in un oggetto ermetico, capace di contenere il silenzio, la preghiera interiore. Il secondo ostacolo consiste invece nel concetto di limite: il perimetro della chiesa non può essere approcciato se non con un taglio netto, una variazione di ritmo improvvisa. Non ci si avvicina  al sacro, non lo si può omettere nell’attesa di una processione di eventi visivi che ce lo rendano meno totalizzante, lo si può solo vivere. Il terzo ostacolo, questo inerente alla nostra epoca, riguarda il linguaggio: come farlo parlare pur concedendogli il grande privilegio del silenzio?
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