Summary: | Se nell’Italia del tardo medioevo era possibile essere sudditi “per natura”, per natura cittadini, per natura principi, per natura membri di un partito, era possibile essere anche “naturalmente” nobili? Il contributo prova a rispondere a questa domanda prendendo le mosse dal cosiddetto trattato sulla nobiltà di Bartolo di Sassoferrato (Tractatus de dignitatibus) per secoli dotato di larghissima popolarità in tutta Europa. Dopo aver reso conto della situazione degli studi, il saggio illustra i contenuti dell’opera, riassumibili in una netta affermazione della dipendenza della nobiltà dalla voluntas del Principe (paragrafo 2), e nell’idea che non possa esistere alcuna nobiltà naturale se non come volontaria creazione di chi detiene il potere politico (paragrafo 3). Sono quindi (paragrafo 4) illustrate le radici del pensiero bartoliano in tema di nobiltà (vale a dire, oltre al Codex, l’Italia duecentesca e popolare, con le sue leggi antimagnatizie); nonché l’applicazione concreta di quei principi nel tardo medioevo, mostrando in particolare come i ragionamenti del De dignitatibus siano consonanti all’evoluzione dell’identità nobiliare in molte parti della penisola, in primis a Firenze, a Bologna, a Venezia. Il paragrafo 5 è invece dedicato alle eccezioni rispetto a questo modello, che non sono solo precedenti a Bartolo (Aristotele, Dante) quanto soprattutto a lui contemporanee, come affermato nello stesso trattato. Il saggio si sofferma sul caso di Milano e su altri contesti (i centri piemontesi in particolare, da Asti a Torino) dove la nobiltà ancora nel Tre-Quattrocento è proposta come fatto di natura, più che come prodotto della politica.
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